I VITELLONI
- 14 set
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Ogni anno si davano appuntamento nello stesso posto, alla stessa data: il primo di agosto.
Ogni anno, in quella data, l’universo si fermava e li sputava nello stesso luogo.
Ogni anno, in quel granello di sabbia nel mondo, restavano in attesa.
Aspettavano che arrivasse.
Lui.
Pierre e Renè arrivavano con le rispettive famiglie, decisamente diverse tra di loro.
Pierre si trascinava dietro la sua donna, così la chiamava, “la mia donna”, tale Petra, una donna tedesca, che aveva un paio d’occhi così azzurri e così gelidi che ci potevi pattinare sopra, con l’aggiunta di un’espressione da contabile del Terzo Reich. A vederla te la immaginavi subito in un campo di concentramento a ridere sguaiatamente, mentre torturava dei prigionieri per hobby, giusto per il piacere di farlo.
Con loro si portavano dietro “Jimmy”, un barboncino nano bianco, ai limiti della demenza, per come, di punto in bianco, iniziava ad agitarsi e inveire contro chiunque e qualsiasi cosa, onde, ombrelloni e bambini.
La famiglia di Renè invece era più classica, formato XXL, moglie e tre figli, tutti e tre maschi, Edo, Udo e Igor, in quell’anno avevano tra i 10 e i 15 anni.
Ad aspettarli c’era sempre Charlie, che viveva da sempre nel posto che per loro era di villeggiatura, un uomo che aveva la Romagna tatuata nelle pupille. Lui era il proprietario del bar Cosmopol, dove tutto avveniva, che gestiva con moglie e due figli.
Pierre, René e Charlie: tre nomi, tre maschere. Erano nomi d’arte, nomignoli cuciti addosso da una sfilza di disavventure che sarebbe bastata a riempire un’enciclopedia.
Lui invece arrivava sempre in una data imprecisata tra l’1 e il 10 agosto e non potendosi far trovare impreparati, già dal primo agosto, si ritrovavano.
Tutti e tre sapevano che un giorno la pacchia sarebbe finita, che quelle loro magiche, pazze estati sarebbero giunte al termine, ma finché durava, durava!
Era la loro filosofia, il loro credo, la loro preghiera laica. E avevano ragione.
Lui si chiamava Giuliano, abitava in quel di Parma, sposato con una donnetta insignificante che la dimenticavi un attimo dopo averla vista. E aveva una figlia, una specie di dea della fertilità, con un davanzale così prosperoso da sfidare le leggi di gravità.
Al collo portava sempre un medaglione d’oro con un santo imprecisato, una volta aveva blaterato che fosse San Lorenzo, patrono del fuoco e dei barbecue. Una fesseria che neanche un tricheco si sarebbe bevuta, ma che in realtà era verissima. San Lorenzo, il patrono dei barbecue esisteva o era esistito veramente. Misteri della fede...
Renè aveva sempre frequentato la riviera adriatica, lì aveva fatto la sua prima vacanza ventenne con la sua prima fidanzatina, in una pensioncina a due stelle che sapeva di pesce fritto, vecchi rimpianti, ma con letti comodissimi.
Il suo ruolo era quello di organizzare quell’incontro a quattro.
Charlie era un bell’uomo prestante, nato e cresciuto in quella terra dove il sole picchiava forte e le bugie volavano più veloci dei gabbiani. La Romagna era il suo mondo, l’unica cosa che avesse visto, dato che al massimo si era spinto a Macerata durante il CAR del servizio militare, nel corpo dell’aereonautica. Si vantava ad ogni discussione di tutte le donne facili che incontrava in qualsiasi occasione, sosteneva di sentirsi male fisicamente se passava un giorno senza farsene una, una teoria balzana ma in cui credeva fermamente. Poi la prostata, traditrice, gli aveva messo un freno.
Il suo ruolo non era così determinante, ma essendo il proprietario del bar, sia Pierre che Renè avevano deciso di coinvolgerlo.
E poi era simpatico, molto.
Pierre invece era il vero jolly, il pezzo grosso, quello determinante.
Era stato bandito da mezzo mondo, come un pacco bomba. In Sudafrica era persona non gradita, ma negli anni Ottanta, per sua fortuna, le comunicazioni tra i vari paesi erano così lente che per proibirlo ovunque ci sarebbero voluti anni, ma oramai ripiegava più su incontri privati, piuttosto che andare ad attaccare dei casinò in paesi stranieri.
Pierre era un baro.
Era in grado di “montare” le carte ad una velocità impressionante.
“Montare” per chi è fuori dal giro, ha un significato ben preciso nel mondo dei truffatori
Le sue mani erano come farfalle, e quando mischiava le carte, era come guardare un prestidigitatore. Era uno spettacolo vederlo all’opera: sapeva, con precisione chirurgica, quali carte sarebbero finite nelle mani di ogni giocatore e quali lo aspettavano nel mazzo.
Un’abilità unica, uno spettacolo vederlo lavorare, un’artista vero e proprio, magari in modo diverso da un Van Gogh o da un Gauguin, ma a i due non aveva niente da invidiare.
Giuliano era uno degli imprenditori edili più ricchi dell’Emilia e naturalmente era il pollo che Pierre, Renè e Charlie ogni estate amavano spennare. Era la loro Gallina dalle Uova d'Oro e i tre amici lo depredavano puntualmente con gioia e metodo scientifico. Ogni estate, Giuliano lasciava sul tavolo verde una cifra che oggi, se la trovassi per strada, ci compreresti un attico con vista sul Duomo. Per lui, che di appartamenti ne costruiva a vagonate, erano quasi spiccioli.
Quell’anno decisero di fare un salto di qualità e l’idea venne a Renè, gli si accese una lampadina. Non una di quelle a basso consumo, ma un faro da stadio.
Le mani di Pierre erano un'assicurazione, ma c'era sempre la paura che il buon Giuliano capisse l'inghippo.
Per questo, dovettero escogitare un nuovo sistema truffaldino e così in quell'anno sulla riviera romagnola sbarcò Nunzio, direttamente dalla costiera amalfitana.
L’uomo non era un uomo, ma una specie di fumetto vivente. Era l'archetipo del napoletano, un po' furbacchione, un po' poeta, con un'ironia così fulminante che ti lasciava stordito.
Dopo alcuni anni di carcere per reati minori, si era sposato con Alice Ghisleri Espositissima, una delle donne più ricche di Ischia, con più soldi che cognomi, e avrebbe potuto ritirarsi a vivere nell'ozio dorato. Ma il suo cuore, una pompa di adrenalina, aveva altri piani. Era un uomo che viveva di brividi e non di banconote.
Purtroppo anni dopo fu arrestato per aver organizzato con dei colombiani l’arrivo di un container pieno di borotalco Johnson & Johnson, che naturalmente non era proprio talco per bambini e così fu condannato a 20 anni di reclusione, ma questo accadde molto dopo.
In quell’anno Nunzio, che non aveva figli, si era molto legato a Igor, uno dei figli di Renè, con lui si divertiva un sacco nel mare algoso di Cervia, lo prendeva e lo lanciava in aria come un fuscello e poi giocava a rincorrerlo in acqua al grido di “Ti affogo ‘ammare!!!”.
Un'immagine che al ragazzino rimase appiccicata alla memoria per tutta la vita.
In quell’anno Renè decise di organizzare la loro partita a poker nell'appartamento di Charlie, sopra il bar, lontano da occhi indiscreti. Il lampadario del soggiorno, un oggetto che aveva visto più polvere che luce, fu riempito di microcamere futuristiche, che sembravano uscite da un film di fantascienza. E i tre amici, nelle loro orecchie, avevano dei ricevitori così piccoli che i ricercatori di Amplifon avrebbero dovuto aspettare altri quarant'anni prima di metterli in produzione.
Il ruolo di Nunzio era di osservare sul monitor le carte di Giuliano e riferirle agli altri tre.
I suoi bisbigli erano la voce della loro fortuna, la mano invisibile che guidava le carte dei tre amici. E andò tutto a gonfie vele, come una barca a vela con il vento in poppa.
Mentre tutto stava andando alla grande, a metà partita, Giuliano iniziò a fare strani versi gutturali, una specie di lamento di balena spiaggiata: “mmmmmh, mmmmmmmmh, mh.”
Rumori mai sentiti prima. I tre amici si scambiarono sguardi allarmati, come a chiedersi cosa stesse succedendo. Ad un certo punto Pierre si prese coraggio e lo chiese: “Scusa Giuliano, ma tutto bene?”
E l’uomo rispose con uno sbrigativo “Sì, sì, ma non capisco…”
“Non capisci cosa?” richiese Pierre.
“Ma niente, affari miei, a volte non capisco questo gioco bastardo!”.
“Ahhhh!” con un sospiro di sollievo disse Renè, “Purtroppo le carte e la fortuna sono due signore capricciose e incomprensibili, lo sappiamo”.
Renè, nonostante truffasse Giuliano ogni anno, da quasi un decennio, aveva instaurato con l’uomo un bel legame e anche gli altri due, a loro modo, gli volevano bene.
Durante l’anno quando i due non si vedevano si scambiavano gli auguri di compleanno suo e dei figli, quelli di Natale, di Pasqua e festività varie e a volte s‘incontravano per un pranzo a Milano o a Parma.
Dire che fossero amiconi, visto l’inganno che gli veniva fatto, forse sarebbe dir troppo, Ma c’era dell'affetto sincero, una cosa fragile, ma vera.
E quell’anno, grazie alle telecamere, il montepremi fu il più sostanzioso di sempre: trecento milioni delle vecchie lire, più o meno 300.000 euro di oggi!Un record, un numero così rotondo che sembrava un pallone, pronto a esplodere di gioia.
Poi Giuliano un giorno non venne più, si ammalò.
Di una malattia che non era un raffreddore né un’influenza, ma una cosa con un nome lungo e complicato, una di quelle che ti prendono e ti portano via senza chiedere il permesso.
Renè andò a trovarlo, ma la vita di Giuliano, che era sempre stata un’autostrada, si trasformò in un vicolo cieco.
All’ultima visita, in quell'ultima tappa del viaggio, Renè ebbe la sorpresa più grande della sua vita. La cosa più inaspettata.
Quasi in fin di vita Giuliano con un filo di voce gli disse:
“io sono stato veramente tuo amico, anche per te sono stato un vero amico?”
“Sì Giuliano, certo, mi spiace molto, di questa tua situazione, vedrai che migliorerà”
“Sappiamo entrambi che non migliorerà, io tra poco morirò, ma questo non mi spaventa, però mi dispiacerebbe lasciar questo mondo con una cosa che non ho mai capito. Ci penso da anni, ma mi imbarazza un po’ chiedertelo”
“Dimmi Giuliano, se posso aiutarti, chiedimi qualsiasi cosa.”
“Ok, te lo chiedo, ma ti prego dimmi la verità, la vera verità!”
“Sì, dimmi”
“Ma in quell’anno dei trecento mila euro come avete fatto? Non le faceva Pierre le carte, non era stato lui, come al solito, come avete fatto?”
A Renè il sangue si congelò. Ebbe un brivido di terrore. “Lo sapevi?”, pensò, con il cervello che gli faceva cortocircuito. “Sapeva tutto? Da quanto? Per tutti questi anni, lui lo sapeva?”. Sembrava un incubo assurdo. Ma rispose.
“Abbiamo messo delle telecamere sul lampadario e Nunzio dalla camera dei bambini ci diceva che carte avevi!”
“Aaahh, non l’avrei mai pensato, che idea geniale, siete stati bravissimi”.
Giuliano coperto da un lenzuolo bianco, pesava la metà di quello che era sempre stato il suo peso normale e sorrise ridendo con gli occhi e con quella poca voce che gli rimaneva.
“Perché Giuliano? Se lo sapevi perché giocavi ancora con noi?” chiese incredulo Renè.
E Giuliano con l’ultimo filo di voce sussurrò:
“Io di amici non ne ho mai avuti e con voi mi trovavo bene, sono stati i momenti più belli della mia vita.”
Renè non sapeva cosa fare o dire, strinse forte la mano dell’amico che nel giro di pochi minuti chiuse gli occhi e lo salutò.
Uscendo dall’ospedale Renè si trovò davanti un pastore tedesco che lo guardò fisso negli occhi, l’uomo e il cane si videro per la prima volta.
Ma non fu l’ultima.
Molto umilmente dedicato a Stefano Benni






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