IL SEGRETO DI GERARD
- 13 apr
- Tempo di lettura: 5 min

Quando i falchi danzano nel cielo a cosa pensano?
Pensano?
O il volo è talmente denso di emozione, paura ed esaltazione che non lascia spazio ad altro?
Gerard, quando guardava il suo falco Prince nell’azzurro del mondo, faceva sempre queste divagazioni filosofiche.
Però un concetto gli era chiaro, nell’osservare quell’animale, nel suo volo maestoso: la libertà esiste.
E per lui, quello era tutto, non avendola avuta per un lungo periodo della sua vita.
Anche i suoi occhi non erano più quelli di un tempo, era sua convinzione che fossero gli anni passati dietro le sbarre ad incidere in quella sua condizione.
In un libro aveva letto che in mancanza di orizzonti da scrutare, l’occhio si indebolisce e perde di definizione.
“Maledette, fottute diottrie!” ogni tanto blaterava da solo.
Non aveva trovato altre informazioni che sostenessero questa tesi, ma lui ci credeva fermamente.
Poi lui era un uomo che si prendeva sempre le responsabilità dei suoi sbagli, e ne aveva fatti tanti, più del dovuto, nella vita, con la moglie, col figlio, non era incline a trovare scuse, ma per i suoi occhi incolpava quel periodo di prigionia assurdo.
È impensabile per un uomo comprendere la capacità visiva di un falco, la natura aveva dotato quelle splendide creature di un apparato visivo inimitabile, aveva letto che erano in grado di vedere nitidamente a due chilometri di distanza una preda e il loro sguardo non diminuiva anche volando ad oltre 180 chilometri orari.
Notre-Dame, nella valle di Rhemes era il paese dove viveva oramai da cinque anni, gli piaceva, sentiva di aver finalmente trovato la sua casa, insieme a quei millesettecento abitanti e poco più.
In molti ti raccontano che “casa” è dove hai una tua famiglia, d’origine o che ti crei, ma lui non aveva mai avuto la fortuna di averne una.
Suo padre, dopo che morì sua madre a soli 21 anni, lo lasciò da una zia e non lo vide per quindici anni e poi, quando si trovò una moglie e fece un figlio, non fu né un buon padre, né un buon marito.
Non conosceva quelle vallate, ma era come se le vallate conoscessero lui. Quel luogo aveva il suo ritmo, la natura respirava con lui, si contraeva e sgorgava fiori, verde e rugiada, senza ritegno.
Lui ne osservava i colori, gli odori, l’aria e tutto questo gli dava pace. Gli piaceva starsene lì ad ammirare tutto questo bendidio, anche se la sua vita non era più quella di un tempo.
Gli otto anni passati in carcere erano un suo segreto, nessuno delle persone che conosceva nella valle sapeva del suo passato o avrebbe potuto immaginarlo.
Gerard era un uomo taciturno, rispettato da tutti, appena arrivato in quella piccola città se n’era innamorato da subito.
E frequentando il pub di Joan aveva conosciuto un po’ di persone, instaurato dei legami, soprattutto con lei, Virna, la proprietaria.
L’uomo e la donna ogni tanto si scambiavano degli sguardi, che si sfioravano come amanti inespressi, non avevano paura di guardarsi, era un limite che non si ponevano. Facendolo nessuno dei due sorrideva, si incontravano in quel modo, ma poi si lasciavano quasi subito.
Il marito di Virna era il capo della polizia del posto, un uomo rozzo, grezzo, che forse un tempo aveva avuto dei pregi, ma ogni volta che Gerard lo guardava non sapeva capacitarsi di come una donna di tale eleganza avesse sposato quel bifolco.
Non era sua intenzione avere una relazione, ma c’era qualcosa nella sofferenza di quella donna in cui si rivedeva, anche lui aveva avuto un matrimonio disastroso, era forse questo che li accomunava? Essere due naufraghi in cerca di compagnia?
Greg invece era la persona che aveva conosciuto meglio, avendo più o meno la sua età, in principio i due si era conosciuti giocando a scacchi, facevano interminabili partite, dove di tanto in tanto Gerard faceva vincere il suo avversario, aveva troppa paura che vincendo sempre lui, sarebbero finite quelle sfide infinite, il loro modo di giocare era estenuante, non si erano dati tempi precisi, così a volte per una mossa passavano anche quindici o venti minuti e una partita poteva durare anche tre, quattro ore, ma ai due non interessava.
In breve Greg era diventato il suo factotum, gli dava una mano in tante cose e adesso lo stava aspettando, doveva passarlo a prendere con la sua macchina per portarlo in un’altra città.
Il falco Prince era atterrato sul braccio dell’uomo e lo aveva rimesso nella sua gabbia, si sarebbero rivisti presto, ma non così presto come avrebbero voluto.
Appena arrivò Greg i due si salutarono da lontano, Gerard sapeva che l’amico aveva paura dei falchi, così fu lui a raggiungerlo dopo che lasciò il rapace nella voliera che lo ospitava.
Greg non era un tipo espansivo, era un uomo semplice che fa poche domande perché anche a lui la vita aveva dato serene batoste. Quando Gerard gli aveva chiesto di accompagnarlo in una città che era circa a duecento chilometri dalla loro valle di Rhemes, l’amico aveva subito acconsentito, senza neanche chiedere dove andasse.
In macchina i due ascoltavano in un concordato silenzio il loro amato jazz, Gerard era appassionato della deriva fusion e funk alla Herbie Hancock, mentre Greg aveva gusti più semplici alla Stan Getz, per capirci, quindi i loro ascolti di solito erano playlist che spaziavano in entrambi i generi.
Si scambiavano parole solo tra un brano e l’altro.
“Dopo quanto tempo mi hai detto che devo passare a riprenderti?”
“Fai pure un paio d’ore”
“Sei sicuro di farcela in quel tempo?”
“In qualche modo ce la farò, al massimo ti chiamo se ritardo, grazie però”
“Di niente, lo sai che mi piace guidare”.
Tra un brano e l’altro erano sempre brevi i loro dialoghi, sulla falsariga di questo, niente approfondimenti, niente domande troppo precise, cose pratiche, erano due uomini di fatti, non di parole.
Arrivarono all’indirizzo segnato, Gerard chiese di lasciarlo un po’ distante.
Quando fu solo, Greg iniziò a camminare, aveva passato due ore e mezzo di viaggio seduto ad accompagnare quel suo strano amico misterioso in quel posto, il minimo che potesse fare era muoversi un po’, ma non si rese conto che si ritrovò nella stessa destinazione di Gerard.
E così lo vide.
L’uomo, il suo amico, si era piazzato lontano vicino ad una scuola elementare, dove c’erano dei bambini, questo lo stava spaventando, di più lo stava inquietando.
Era forse anche lui complice di qualche cosa di orribile che stava per accadere?
Che fosse un uomo malato, depravato, perverso? Non gli era mai venuto un pensiero simile, ma è pur vero che le persone non le puoi mai conoscere fino in fondo.
Poi quello che vide lo stranì ancora di più.
Arrivò una macchina e vide Gerard nascondersi dietro alcuni alberi, c’era un uomo sui trent’anni che andava a prendere il figlio a scuola.
Si sentiva meglio, il suo amico non era quello di cui temeva, ma chi era quell’uomo giovane che stava spiando?
Gerard gli era sempre sembrato un uomo tosto capace di affrontare qualsiasi situazione, ma qui lo vedeva nascondersi come una lepre in un bosco che incontra un maratoneta.
Poi formulò un pensiero: e se quello fosse il figlio di Gerard? Con il nipote?
Greg non lo poteva sapere, ma aveva centrato l’obiettivo, quella era la pura e semplice verità.
Ma perché nascondersi, perché aver paura di farsi vedere?
Qual era il segreto di Gerard?
A queste domande decise di non dare risposta, di non chiedergli niente, così si allontanò, quando vide l’amico sedersi su una panchina e mettersi le mani nei capelli.
Poi passò a prenderlo con la macchina nel posto che avevano fissato.
Per tutto il viaggio il guidatore pensò al dolore che poteva provare l’amico, che non avrebbe mai condiviso con lui.
Perché gli uomini non amano mostrare le loro ferite? Perché ognuno nasconde l’oscuro ospite indesiderato lottando con le unghie per non venire scoperto? Di cosa abbiamo paura?
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