top of page

CACHAO

  • 21 set
  • Tempo di lettura: 5 min
foto e testo di Max Chianese
foto e testo di Max Chianese

“Se muoio e rinasco, mi piacerebbe rinascere a Cuba”.

 

Così aveva scritto il poeta russo Utkinienko, padre della corrente dell’utkinismo, un movimento culturale quasi sconosciuto che aveva tra i suoi dogmi la poligamia, la castità e il fatto di astenersi dal mangiare cioccolato fondente, mentre il cioccolato al latte era permesso. Vai a sapere chi lo aveva deciso e perché!

 

E proprio all’Avana, invece, il 14 settembre del 1918 era nato il piccolo Israel López, che verrà ricordato ai posteri come Israel Cachao López o semplicemente Cachao.

 

Ma da dove nasce quel nomignolo, appunto Cachao?

 

Suo nonno Aurelio, nato lo stesso giorno, ma sessant’anni prima, il 14 settembre 1858, era un burlone e usava spesso fare scherzi di ogni genere. Cachao era il diminutivo di “Cachondeo”, che in spagnolo significa presa in giro, baldoria, divertimento, caos o, in modo più articolato, un disordine allegro e festoso.

 

Non è chiaro quando al piccolo Israel fu affibbiato quel soprannome pittoresco, ma è noto in varie biografie che nonno Aurelio gli aveva lasciato in eredità la voglia di divertirsi. E questo fu un lascito meraviglioso, importante, molto di più di qualsiasi fantastiliardo di milioni di dollari!

I poveri Jeff Bezos, Bill Gates ed Elon Musk, dall’alto delle loro tristi copertine di Times ed Esquire, si erano resi conto, con i rispettivi conti correnti a ventidue cifre, che era proprio quello a mancargli: la voglia di divertirsi.

 

Cachao avrebbe potuto far loro un master su questo. Ma nessuno di quei tre possedeva la moneta giusta per potersi permettere quelle lezioni. E lui, Israel Cachao López, non diffuse il verbo, ma decise di suonare il contrabbasso, come nessuno lo aveva mai suonato prima.

 

Quello strumento non era una casualità; nella famiglia di Cachao tutti suonavano qualcosa. A Cuba era una consuetudine, quasi un obbligo, saper suonare, e così nella famiglia López il padre, la madre, gli zii, i figli, i fratelli e i nipoti, suonavano. Avrebbero potuto creare una piccola orchestra, visto che non sapevano solo strimpellare, ma facevano musica ad alti livelli, tanto che alcuni di loro finirono in orchestre sinfoniche di tutto il mondo.

 

Il contrabbasso è uno strumento che ti manda in risonanza il corpo intero, essendo il suono più grave di tutti gli archi. Quel tipo di frequenza è l’unica dimostrata scientificamente che porta il corpo di chi ascolta a uno stato di rilassatezza, riducendo ansia, stress e la preoccupazione dell’anticipo degli F24. Dieci minuti al giorno di ascolto di quella musica eviterebbero a tanti miserabili crimini efferati, guerre e stupri vari, del pensiero e di corpi inermi.

 

In quel carosello di godimento che è un’orchestra, il contrabbasso ha il ruolo di solleticarti la colonna vertebrale, portandoti brividi e pelle d’oca sulla pelle nuda di tutto il tuo essere. E quando Israel aveva 10 anni, era già considerato un virtuoso di questo strumento, una promessa del suo paese, ma a lui non bastava.

 

“Voglio fare qualcosa di nuovo, qualcosa che nessuno ha mai fatto prima”. E ci riuscì.

 

Cachao inventò un genere che prima non esisteva: il mambo. E lo fece a 20 anni.

 

Alcuni attribuiscono questa paternità ad altri due personaggi: a Orestes López, di cui ci resta ben poco, polistrumentista, fratello di dieci anni più vecchio di Cachao, e al direttore d’orchestra Perez Prado, autore del famosissimo Mambo n. 5, edito però solo nel 1950, ben dodici anni dopo i primi pezzi mambo composti dal nostro Israel.

 

In una biografia su Cachao dello scrittore Antonio Melis, docente dell’università di Firenze di lingua e letteratura ispanoamericana, edita da Heybook Edizioni, viene riportato questo aneddoto sul piccolo Israel, che ha dubbi riscontri, ma che se fosse vero, spiegherebbe alla perfezione molte cose.

 

In un pomeriggio dell’estate del 1923, i genitori del piccolo Cachao decisero di prendersi una giornata al mare, lasciando il piccolo con nonno Aurelio, che non disdegnava qualche bicchiere di troppo. Nonno e nipote mangiarono una bella Ropa Vieja, cucinata da Aurelio che amava cucinare; la sua era una versione rivisitata del piatto cubano, che normalmente prevede carne di vitello o di maiale cotta, con spezie varie, pomodori, peperoni e riso. Lui gli aggiungeva dei grossi pezzi di mango, dando quel tocco agrodolce che ti accarezza l’intestino.

 

Tutti e due erano estremamente ghiotti di quel piatto, l’uomo di 65 anni e il bambino di 5. La sola differenza era che il nonno lo accompagnava con tre bicchieri dell’ottimo vino della cantina Bodega San Cristobal, la migliore di Cuba.

 

Dopo mangiato, bello satollo, il buon Aurelio andò ad appoggiarsi sul grande letto della camera principale dei López, ma il piccolo Israel aveva decisamente poca voglia di riposare. Nel giro di qualche minuto un trattore, un jumbo jet in fase di decollo e un facocero inferocito (fate voi chi preferite) comparve nella stanza: nonno Aurelio russava in un modo che faceva tremare i quadri sulle pareti e al punto che piccole crepe iniziavano a vedersi nei muri.

 

Il piccolo Cachao iniziò a pensare ad un piano per poterlo far smettere. Prima provò con la sua esile manina, ma il monsone imbizzarrito era troppo violento per potersi fermare. Poi provò con un cuscino sulla faccia del nonno, ma una manata scaraventò il bambino a due metri di distanza. Così ebbe l’illuminazione: buttare acqua sul fuoco, si dice così, e così fece, l’unico stratagemma che poteva funzionare era quello.

 

Aurelio russava vigorosamente a bocca aperta. Il piccolo Cachao si mise in piedi sul letto, si abbassò le mutandine e pisciò centrando la bocca dell’uomo. Il nonno, ancora con la bocca che sorrideva del lauto pranzo, pensò subito a un rigurgito del troppo mango mangiato e così, svegliato di soprassalto da quella fontanella umana, urlò “Mango! Mango!”, ma la voce era talmente impastata che dall’urlo venne fuori più un “Mambo! Mambo!”.

 

Israel saltò giù dal letto alla massima velocità, anche se Aurelio lo vide e capì tutto, ma quella parola storpiata, appunto “Mambo”, gli restò per anni appiccicata addosso.

 

Come dicevo, questa è una delle versioni non accreditate sul perché il mambo si chiama mambo, ma non so perché, per me è la storia vera.

 

Israel Cachao López morì il 22 marzo del 2008 in Florida. Suo nipote, Orlando Cachaito López, anche lui ottimo contrabbassista, fu uno dei pilastri del Buena Vista Social Club, una formazione musicale che divenne popolarissima anche grazie al film omonimo del regista Wim Wenders.

 

Proprio grazie a Cachaito, il brano “Buena Vista Social Club” rientrò nell’album Buena Vista Social Club, colonna sonora ufficiale del film. Quel pezzo meraviglioso è opera proprio del nostro Cachao che lo scrisse negli anni ’30, poco più che quindicenne.

Ad oggi, solo su Spotify, è stato ascoltato da oltre 18 milioni di utenti.

 

Nell’agosto del 2007, sette mesi prima di morire, Israel Cachao López partecipò al festival latinoamericano organizzato ad Assago, in provincia di Milano. In quell’occasione mi fu chiesto di fotografarlo. Aver potuto immortalare un gigante, il creatore di un genere musicale, è un ricordo indelebile della mia avventura nel mondo della fotografia.

 

 

 

 

2 commenti


Membro sconosciuto
02 ott

Favolos, Max! Sei un grande, come sempre...

Mi piace

Membro sconosciuto
21 set

Interessante!

Mi piace

SEGUIMI 

  • Facebook Classic
  • c-youtube
bottom of page