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Madre

Aggiornamento: 28 apr

Donna che tiene in braccio un neonato
Madre-foto di Max Chianese

Ho memoria di un film.

Non credo di averlo visto per intero, forse solo dei frammenti, non ricordo neanche il titolo, ma c’è una scena che si è incuneata in me, tra le varie reminiscenze.

Una donna anziana in fin di vita, forse in ospedale, sta guardando sua figlia.

Ad un certo punto la donna sorride e la figlia le chiede “Perché ridi mamma?”

Lei risponde: “Sono felice, perché presto rivedrò mia MADRE”.

Questo scambio di battute mi ha segnato a vita. Devo recuperare quel film.

 

GRACE

Io e Grace ci siamo conosciuti in un pronto soccorso al Mount Sinai Hospital, Madison Avenue a New York. Non era la prima volta che ci finivo.

Sono sempre stato ipocondriaco, tipo i personaggi dei film di Woody Allen, ma qualche volta ci sono finito seriamente in ospedale, non per delle fissazioni mie.

Questa, era una di quelle volte.

Davanti a me una donna nera, dallo sguardo deciso, con il volto tumefatto, dei lividi evidenti, un taglio sul viso di un pestaggio fresco, recente.

Tre poliziotti si sono avvicinati a lei con inaspettata delicatezza e le hanno iniziato a fare diverse domande, due uomini e una donna, solo la poliziotta parlava.

Ho sentito da loro che lei si chiamava GRACE.

Dopo un po', un lungo periodo di tempo, la donna ha iniziato a parlare e ho capito che l’autore di quello scempio era stato il marito.

Dopo le domande i tre sono andati via, mi sono chiesto se fossero andati ad arrestarlo, mi sa che non è così semplice, anche se potrebbe esserlo.

La donna è rimasta lì da sola, sempre davanti a me, io facevo fatica a respirare per colpa dell’asma.

Il mio sguardo era sulla punta delle mie scarpe, ad un certo punto la sua mano ha preso la mia, mi sono quasi spaventato.

Non siamo più abituati al contatto umano, al sentire un altro essere dall’altra parte, ci convinciamo con gli anni che il nostro corpo o poco altro ci basti, ma sappiamo che non è così.

Mi guarda con un solo occhio, l’altro non riusciva ad aprirlo e mi dice “Come ti senti?”

Io non ho la forza di risponderle e non è l’asma, è l’emozione violenta che mi sta arrivando addosso.

Lei in quelle condizioni sta chiedendo di me. E lo sta chiedendo veramente. Le importa.

Faccio solo sì con la testa, lei annuisce.

Passiamo tutta la notte vicini senza parlare. Ogni tanto mi tiene la mano.

E con naturalezza, per qualche istante, per stare più comoda, mezza addormentata seppur dolorante, appoggia le sue gambe sulle mie.

La mattina ci salutiamo mi dà il suo numero di telefono, mi dice di chiamarla, dopo pochi giorni ci prendiamo un caffè, viene con il suo bambino, un bambino piccolo, minuscolo, con un maglioncino viola e un berretto colorato. Non ha un passeggino, un marsupio, un qualcosa, lo tiene semplicemente in braccio. A quel bambino basta sua MADRE, non serve altro.

Quando sta per andare via le chiedo se posso fotografarla. Lo faccio.

Gli occhi di questa donna per me sono poesia, fierezza e orgoglio, tutto insieme, sarà lei a formare questo uomo che un giorno avrà davanti delle donne e saprà come parlargli.

Lei per me è la madre terra, ciò che ci avvolge in modo invisibile, il luogo dove viviamo, che ci dà l’aria che respiriamo.

Il corpo e gli occhi di questo bambino sono abbandonati su di lei. Sono parte del corpo di lei.

 

Da circa un anno nel mio telefono ho una foto di una mia amica, c’è lei e sua MADRE.

Ho deciso di tenere quello scatto, quel momento magico, io che una madre non ce l’ho più da tanti anni.

La donna più grande indossa una maglietta a righe sottili: rosa, bianco verde, giallo e poi ancora rosa, verde bianco, giallo e così via.

E’ una bella donna, come lo è la mia amica. A tutte e due piace leggere.

E si capisce dai loro occhi, affamati di sapere, di vita.

Nella foto, la grande abbozza un sorriso imbarazzata, la piccola sorride felice, come quando era bambina.

Si abbracciano e il modo in cui lo fanno mi porta gioia.

Si saranno abbracciate e tenute in questo identico modo anche vent’anni prima?

Esisterà una foto simile di quegli anni?

La loro bellezza esteriore, che è tanta, non è paragonabile alla grazia del loro abbraccio.

Quando vuoi bene a qualcuno, in modo profondo, e quella persona prova dei momenti di gioia, quella felicità, seppure in una foto, un po' ti arriva.


 

Quasi venti anni fa ho scritto una lettera e l’ho messa in una busta.

Per una notte intera ho ascoltato le litanie di donne anziane che non conoscevo, che recitavano il rosario. Per me un’esperienza insolita, straniante, un mantra a cui non ero abituato.

Durante quel vociare, che a volte sembrava in una lingua straniera, ho vissuto un po' come sott’acqua, tra coralli e pesci luminescenti.

La mattina quando hanno chiuso il corpo di mia mamma dentro una cassa ho appoggiato la lettera sul suo corpo, poi hanno chiuso.

Le ho scritto delle frasi per ringraziarla.

Un giorno quando la riabbraccerò non la chiamerò mamma come ho sempre fatto, ma per la prima volta la chiamerò MADRE.

Max Chianese

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