IO ODIO HALLOWEEN
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Giulio si faceva spesso, tra sé e sé, questa domanda: “Qual era stato il momento in cui si era deciso di festeggiare Halloween in tutto il suo paese e soprattutto PERCHÉ???”
Essendo la Bellitalia (così era stato decretato a furor di popolo che fosse il nuovo nome della penisola italica) una delle più piccole colonie dell’Impero, fu naturale che Halloween rientrasse di diritto nelle feste nazionali. Così, oltre a Pasqua, Natale, il santo patrono di ogni piccolo comune, l’Immacolata Concezione, la festa del 25 Aprile, quella del 24 Febbraio e altre ricorrenze motivate e non, anche il 31 Ottobre divenne festa nazionale.
Halloween. 31 Ottobre. Segnato su ogni calendario.
Nell’anno del Signore duemilaventicinque, esattamente cinque giorni prima della nuova festività nazionale, a Giulio arrivò a sorpresa una proposta strana.
Nel suo paese ci sarebbe stato un concorso per decretare la casa di Halloween meglio addobbata, con tanto di scheletrini e ragnatele.
Allora, in un momento qualsiasi, davanti a questa proposta di fare il giudice di quella strampalata iniziativa, avrebbe declinato con gentilezza, inventando qualsiasi scusa accettabile, da un’esplosione improvvisa di emorroidi, ad un impegno di lavoro in quel di Cinisello Balsamo, ma una congiunzione di astri unita ad un riflusso esofageo che lo tormentava da settimane, lo portò a mollare qualsiasi difesa verso il mondo e a dire semplicemente “Sì, va bene, lo faccio”.
Quella decisione aveva due ragioni un po' distanti tra loro, lo stato di dormiveglia in cui glielo avevano chiesto e il fatto che era sempre stimolato nel fare cose nuove. Spesso sbagliate.
I giudici sarebbero stati tre, due uomini, lui e un altro, e una donna, Chiara, che conosceva non da molto tempo, avendola incrociata in qualche sagra del paese e avendo il figlio milanista, come lui.
I due si sentirono e quando arrivò il tanto sospirato giorno, andarono a recuperare il materiale che serviva per le votazioni e ad incontrare il terzo giudice.
Arrivarono e aspettarono.
Dopo un po' decisero di sedersi e aspettarono ancora. Andarono nel barettino accanto a farsi due scotch doppi e poi tornarono e si sedettero di nuovo, si guardavano intorno il grande orologio a parete sembrava immobile, ogni secondo aveva la lentezza di un bradipo sotto metadone che si stira le ossa dopo il letargo dell’inverno più gelido mai esistito.
Dal bar arrivò il secondo scotch doppio per entrambi.
Niente: il terzo giudice non arrivò mai.
Erano solo loro due.
Così presero l’attrezzatura.
Il CAZH (Comitato Associativo Zucche Halloween) aveva preparato loro i fogli su cui votare, dei cartelloni 70x100 che si sarebbero dovuti portare dietro per tutto il tour delle case.
E poi c’erano i vestiti. Per entrambi ad aspettarli dei costumoni da fantasma (di fatto dei sudici sudari bianchi della vicina RSA, con qualche traccia di urina ancora visibile), un buco per la testa, da dove fuoriuscivano le loro facce avvolte da delle mascherine FFTP2.
Sul davanti dei lenzuoloni entrambi avevano queste scritte macabre: Morti di Covid.
Chi avesse avuto quel colpo di genio di mandarli in giro agghindati in quella maniera, con quelle scritte e con quei papiri smisurati (quando sarebbe bastato un semplice bloc notes minuscolo) o era un sadico o un genio innovatore di tutte le feste di Halloween di sempre.
E così partirono per questa nuova avventura.
In basso in ogni foglio doveva esserci il nominativo del proprietario e l’ubicazione della casa da giudicare, ma scoprirono subito che non era proprio così. A volte c’era solo un nome, a volte delle iniziali da decifrare, spesso il nome (solo quello di battesimo) e la via senza alcun numero civico.
C’è da dire che Giulio e Chiara non erano sempre stati residenti della provincia pavese, entrambi erano di Milano, quindi anche le indicazioni più semplici, erano per loro aramaico, figuriamoci quelle dove c’era poco o niente.
Così decisero di chiamare la segretaria del CAZH.
Queste le risposte che ricevettero:
- “Ma è facile, la Luisa, la conoscono tutti!”
- “Allora voi andate lì, poi girate a destra e prima di arrivare al tombino, girate a sinistra e la trovate!”
- “Sempre dritto e poi ci sono tre case, una dietro l’altra”
Intendiamoci qualche indizio lo avevano, ma tutto molto da improvvisare.
Mentre stavano per partire, decisero di farsi un altro scotch doppio, altrimenti la serata sarebbe stata interminabile, meglio arrivare un po' brilli per un’occasione del genere.
Al bar incrociarono uno dei partecipanti alla gara che gli disse queste testuali parole dandogli un mazzo di chiavi: “Io devo stare qui a dare una mano alle salamelle, vi lascio le chiavi per poter entrare, altrimenti non vedete tutto il lavoro che ho fatto”.
E lasciò loro le chiavi di casa.
Chiara e Giulio si incamminarono verso la prima delle dodici case in concorso.
Mentre camminavano le folate di vento che si scontravano contro quelli che avevano rinominato i “Papironi dell’Assurdo Giudizio” li rendeva totalmente instabili e sicuramente i superalcolici trangugiati non aiutavano nell’impresa.
Spesso alcune raffiche li spingevano avanti di sei o sette metri, mai nella direzione delle case da visitare, così il percorso si allungò decisamente da 13 a 21 km da percorrere.
Ad un certo punto Chiara disse “Ma la casa del tipo che conosci, la vediamo subito o alla fine?”
“Che conosco?”, disse Giulio. “Ma io non l’ho mai visto prima”.
“Ma non lo conosco nemmeno io” ribatté lei, non so neanche come si chiami, è la prima volta che lo vedevo, giuro!”
Con quel dialogo assurdo, degno del miglior Beckett, cominciò il loro tour, con un mazzo di chiavi di uno sconosciuto che non sapevano dove diavolo abitasse.
“Paese di merda” borbottarono insieme sottovoce.
Dopo circa otto telefonate con la segretaria, sempre più indispettita da tutte quelle chiamate, visto che era intenta ad indossare i panni di Freddie Kruger, riuscirono a decidere una sorta di percorso, soprattutto grazie a Mappe, Google Maps e a Waze.
E arrivarono alla prima casa.
Un uomo in mutande li accolse, la moglie vestita da zombie, in realtà era più simile ad una disoccupata il giorno dopo che il governo chiuse i rubinetti del reddito di cittadinanza, sorrideva digrignando i denti.
La casa era più sporca che addobbata, ma d’altronde nessuno aveva mai verificato che i morti fossero puliti.
Il marito con ghigno sarcastico disse “Quando il corpo marcisce, mica fa un buon odore, neh!”
E come dargli torto!
La consorte gli strizzò l'occhio, un gesto più simile a un tic nervoso. "Le ragnatele, tutte vere. A proposito, secondo voi, il reddito di cittadinanza lo ripristineranno o mi toccherà ricominciare a lavorare sul serio?"
I due giudici, con lo sguardo a mezz’asta fecero spallucce con un’aria di disinteresse totale, ma iniziarono a ragionare sul loro compito: come dare un basso voto a cotanto coraggio?
I due votarono a scrutinio segreto.
La seconda casa fu più blanda, tutto molto finto, addobbi da Ikea e da negozi dei cinesi, poca inventiva, tutto un po' plasticoso. I proprietari, forse colmi di vergogna per la loro poca creatività, spiavano da dietro le tende.
E anche quello fu fatto. Voto bassissimo.
Così andarono avanti fino alla settima casa.
Appena arrivati dalla porta, uscì un pinguino.
I due lo fissarono e ne furono intimoriti.
L’animale parlò con un accento spiccatamente sardo che arrivava sicuramente dalla Barbagia.
“Il nome corretto della nostra specie è Sfeniscidi e siamo degli animali omeotermi. Ci piace molto nuotare a focena”.
Quelle poche parole resero la situazione ancora più inquietante.
Ma dopo un po' il simpatico animaletto originario del polo sud iniziò a ridere e venne svelato l’arcano: si tolse il costume e uscì il Barbietta, il nano del paese.
Nessuno aveva mai pensato ad Halloween a camuffarsi da pinguino.
“Sapete nell’Antartide non si festeggia Halloween” disse il goliardo lillipuziano, “potete dire di aver incontrato l’unico pinguino che lo festeggia!”.
Un’altra volta i due rimasero stupiti dalla genialità di un loro concittadino.
E andarono via.
All’undicesima casa arrivarono all’abitazione del senzanome, lo squilibrato che gli aveva dato le chiavi. Per esclusione doveva essere quella e infatti le chiavi girarono nelle varie serrature.
I due aprirono l’inferriata principale del complesso delle case ed entrarono, poi aprirono il cancelletto del suo giardino ed entrarono. Poi aprirono la porta di casa ed entrarono.
Giulio disse a Chiara, “Adesso gli lascio io un ricordo a ‘sto stronzo” e si diresse verso il bagno.
Dopo essersi sollevato di quel peso decisamente smisurato per i suoi standard, andarono in cucina a fare razzia di ogni ben di dio, nell’ordine: sei salami felini di Varzi, quattro confezioni di pane carasau, dodici bottiglie di olio di oliva extravergine toscano, due statuette di Padre Pio e due shampoo ai mirtilli che avrebbero riciclato il Natale successivo al parente meno ambito che avevano.
Poi i due chiamarono il buon Armando, che arrivò con la sua jeep a recuperare la refurtiva.
Di come aveva addobbato la casa non c’era traccia, ma fa niente. Il voto era già stato deciso che doveva essere alto, visto che si stavano ripagando lautamente dell’impegno preso.
Poi andarono all’ultima abitazione: la proprietaria si era vestita da strega e aveva in mano un gigantesco cucchiaione che roteava nel classico pentolone da fattucchiera.
Buttando l’occhio Chiara vide che dentro quell’enorme pentola c’era una quantità immensa di pesci rossi.
“Perché? Perché dei pesci rossi?” chiese Chiara.
La strega mise una mano davanti e biascicò: “UN O E NTO”.
Poi estrasse dalla tasca la sua dentiera e ribatté in modo più articolato mentre armeggiava con quattro dita in bocca.
“Un momento, ah eccomi! Perché è Halloween e tutto vale”, rispose la donna.
I due si guardarono, ma la strega notò la scritta sui loro lenzuoli e disse: “Mio nonno è morto di Covid!”
Giulio, che aveva sempre la risposta pronta ed era un tenace e fervente novax, lanciò così una battuta fulminante “Ma quanti anni aveva, signora, il suo nonnino?”
“Novantotto” rispose la strega.
“Ma allora non è stato il Covid! È stata la vita ad ucciderlo”. E andò via sghignazzando a crepapelle.
E Chiara lo seguì.
Alla fine vinse la prima casa, quella dell’uomo in mutande, la loro spontaneità li aveva conquistati.
Era proprio vero: le cose semplici sono sempre le migliori, l’uomo si portò a casa un bel fucile a canne mozze, il modo migliore per sconfiggere l’amarezza della moglie per la sospensione del rimpianto reddito.
Dopo tre colpi, lei non si lamentò più.
Alle luci di Halloween si aggiunsero le sirene della polizia e dell’ambulanza, il cielo si tinteggiò di blu e rosso e mai le stelle furono così colorate come quella notte.






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