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IL CIELO NEL CUORE

  • 2 lug
  • Tempo di lettura: 9 min

Aggiornamento: 4 lug

racconto di Cinzia Milite, 2° classificato alla 17esima edizione del Premio di narrativa "ANNA VERTUA GENTILE" 2025

La folla di turisti si affannava per la lunga salita, sotto il pendio ricoperto di erica e ginestre proseguendo allietata dalla temperatura primaverile, dispensatrice di profumi della terra calda mentre le poiane si alzavano per volare a spirale, librando verso il sole. La meta era Heptonstall, un villaggio arroccato su una penisola nel West Yorkshire, un promontorio creato dalle incisioni delle acque dei fiumi di Colden e Hebben, destinazione scelta da Sylvia dopo la morte della madre per onorare il suo ricordo e per sentirla in qualche modo ancora vicina. Nel villaggio aveva sede un cimitero noto per essere l'ultima dimora di Sylvia Plath, poetessa dalla vita travagliata molto amata da sua madre, che per l’appunto ne aveva dato il nome all’unica figlia.

“Sylvia Plath ha avuto un tragico destino, ma la sua sensibilità era arte e le è sopravvissuta. Sento che il suo nome ti porterà fortuna.”, le aveva detto una volta la donna. Sylvia le aveva creduto e davvero per un po’ di tempo tutto sembrava andare per il meglio, l’università, poi la storia con Davide, sempre più intensa. Ma d’improvviso la vita che aveva conosciuto fino a quel momento, andò in frantumi. Prima la bancarotta del padre che la costrinse a lasciare gli studi, poi il tradimento del suo ragazzo e infine la tragedia: la morte improvvisa d’infarto della madre dovuta a un’anomalia al cuore mai diagnosticata.

Per un lungo anno fu pervasa da un insondabile sentimento di rabbia nei confronti della madre; non riusciva a perdonarle di averla illusa, poi con il passare del tempo, il dolore per la perdita prese il sopravvento ed ebbe luogo la riconciliazione con l’amata genitrice. Proprio per suggellare l’evento, aveva deciso di partire dall’Italia per raggiungere l’illustre omonima, passata a miglior vita, e confidarle di lei e sua madre.

Sorpresa ancora in abiti invernali nell’improvviso tepore primaverile del luogo, la ragazza si fermò un istante lasciando che il gruppo di turisti andasse avanti, si sfilò il maglione e lo legò in vita, poi prese ad ammirare il lato occidentale del promontorio. Il sole pomeridiano illuminava L’Eaves Wood, l’antico bosco sottostante ancora spoglio di foglie, nel quale, solo i Larici mettevano in mostra il loro fresco panno verde.  I boschi millenari, le querce, le prime campanule sbocciate, l’aglio selvatico, i fiori dell’acetosella che pendevano curvi, tutta la natura circostante, persino le rocce di arenaria, sembravano volerla sostenere nel suo intento di pacificazione con la madre e, ancor di più, con la vita. Prese un gran respiro assaporando la fresca sensazione d’inaspettata primavera nel cuore e riprese a camminare.

Prima di recarsi al cimitero aveva in programma di assistere a una rappresentazione che si teneva ogni anno nel giorno di Venerdì Santo nel centro del villaggio medievale. A Sylvia era piaciuta la proposta contenuta nell’opuscolo informativo dell’agenzia di viaggi: si trattava di assistere a un tradizionale spettacolo britannico che simulava i combattimenti in memoria di una battaglia avvenuta lì durante la guerra civile del 1643. La drammatizzazione assumeva la forma di un finto combattimento tra l'eroe e il cattivo, una tenzone in cui l'eroe veniva ucciso e poi riportato in vita, spesso da un medico ciarlatano. Lo spettacolo era denominato Commedia dell’Uovo della Pace tradendo, in un certo senso, le sue radici storiche per affermarsi nei secoli come il rifacimento di antichi rituali primaverili pagani di morte e rinascita che s’intrecciano alle usanze pasquali della religione cattolica.

Appena giunta a Weavers Square, nel centro di Heptonstall, Sylvia fu investita dal rumore degli zoccoli dei cavalli, dal suono delle spade che si scontravano e dagli applausi di centinaia di spettatori che echeggiavano tutt’intorno. Si sporse in avanti per conquistare una posizione migliore per assistere allo spettacolo finché riuscì a guadagnare un posto in prima fila. Assistette a un feroce combattimento tra uno degli eroi e un cattivo mostruosamente truccato e coperto di bende che rovinò a suoi piedi dopo che l’eroe lo ebbe colpito. Questi, si rialzò con un balzo voltandosi verso di lei, con aria inferocita puntò gli occhi dentro i suoi e dopo un ghigno malvagio elargitole a pochi centimetri dal viso, la sovrastò con il corpo proteso in avanti quasi volesse mangiarla in sol boccone, emettendo un urlo gutturale. Le persone accanto a lei gridarono scansandosi mentre Sylvia non riuscì a sottrarsi alle finte minacce del cattivo che le stava difronte, anzi, pur non vedendo chiaramente le sembianze del viso per via del pesante trucco, era stranamente ammirata dai i suoi occhi. Il tipo poteva mostrarsi inferocito e bellicoso quanto gli pareva, ma il suo sguardo tradiva quella giovialità e quella serenità d’animo che da tempo lei desiderava avere e prima di tornare a combattere lui la sorprese oltremodo facendole l’occhiolino.

La mattina della domenica di Pasqua, dopo due giorni tiepidi, faceva di nuovo freddo, tanto

che oltre al maglione, Sylvia dovette indossare anche un giubbino, nonostante ciò era animata da un senso di meraviglia e scoperta che non sapeva spiegarsi fino in fondo. Forse la caccia alle uova nel prato del villaggio che vedeva protagonisti i bambini del luogo era talmente entusiasmante da non farle accorgere del freddo; i più grandi correvano a perdifiato, conoscendo tutti i probabili nascondigli per anni di esperienza, badando anche a prendere un solo uovo da ogni nido nascosto tra le chiome dei salici, tra i narcisi, alla base dei giovani noccioli, sotto i nodi delle felci brocchiere in procinto di dispiegare le fronde della nuova stagione. Di tanto in tanto qualcuno si ricordava persino di tornare indietro per aiutare i bambini più piccoli. Sì, forse era per tutto l’entusiasmo e la meraviglia che sapevano mostrare e vivere i bambini che Sylvia si sentiva così, eppure c’era dell’altro; dopo lo spettacolo del Venerdì Santo e per tutto il sabato mentre visitava i monumenti del villaggio e durante le escursioni nei dintorni sperava di rivedere il finto cattivo che l’aveva impressionata con lo sguardo; voleva chiederle: “ Come si fa ad essere felici?”.

Fino a quel momento però, nessun risultato, del malvagio, ancora nessuna traccia, nessuno si era fatto avanti dicendole “Ehi tu… ero io quello che ha fatto finta di mangiarti” o qualcosa del genere e lei non lo aveva riconosciuto in nessuno dei ragazzi del luogo.

Ma in fondo trovarlo o meno non era poi così importante, si era detta, sperare nella felicità quello sì, lo era e in assoluto si trattava della sua nuova consapevolezza che, ne era ormai quasi certa, apriva la strada a tempi migliori.

Il calore ritornò con il passare della giornata e, in segno di cose a venire, si sentì di fare una bella passeggiata verso Knott Wood, un blocco di antichi boschi di querce sulle pendici settentrionali della valle. Si spinse fino alle cascate di Dale che risuonavano con il loro fragore a piena voce dopo un mite e lungo inverno.  Sylvia interpretò quegli impetuosi rimbombi come un promemoria per non dare per scontata la pace ritrovata e per tenersi sempre pronta ai tumulti che ha in serbo la vita.  Sulla via del ritorno si fermò un po’ a riposare e per fare uno spuntino all’ombra di un salice, ammirando la collina a terrazze vestite di campanule. In lontananza scorse la lunga ciminiera di uno dei mulini tipici dalla zona che aveva lo stesso colore degli alberi sui quali troneggiava e poco più in là un’antica fattoria dai muri di pietra grigia e le grandi vetrate dagli infissi bianchi. Si domandò come sarebbe stato vivere laggiù, le sarebbe piaciuto? Convenne di no, troppa solitudine, una vacanza lunga però non era un’idea malvagia. Riprese il cammino, la sua tabella di marcia annotata su un foglietto le ricordava la sua ultima tappa: il cimitero di Heptonstall per far visita alla tomba di Sylvia Plath.

S’incamminò sul sentiero acciottolato, poi notando la sua curva a valle, decise di tagliare passando attraverso i campi proseguendo oltre un minuscolo cancello, discendendo verso sud come indicato sulla mappa della zona che si era procurata. All’improvviso cominciò a soffiare un forte vento da ovest che portava una pioggerellina e in lontananza, sugli aspri bordi rocciosi della valle, una fitta nebbia. Sylvia che durante la salita si era tolta giubbino e maglione fu costretta a rimetterseli aggiungendo dei sovra pantaloni impermeabili che previdentemente aveva portato con sé. Dopo un’ora di cammino e attraversato una serie di campi con piccole pecore rannicchiate dietro muretti a secco, si accorse di essere seguita da un falco che volava a testa in giù, sotto la pioggerella. Non sapeva se temerlo oppure no, più che un predatore le sembrava un accompagnatore, anzi una guardia del corpo, ma forse se lo diceva per rassicurare se stessa, ammettendo al contempo che lasciare il sentiero era stata una pessima idea.

 Decise di fermarsi per fare il punto della situazione presso un pergolato di agrifoglio secolare cresciuto ai bordi della radura e ammettendo di essersi persa, accese il cellulare, tenuto spento da quando era arrivata nel West Yorkshire, per tentare di chiedere aiuto. Fu inutile, non c’era campo e mentre il tempo cambiava di nuovo lasciando passare i raggi del sole tra le nuvole s’incamminò verso un bosco di Pino Silvestre che splendeva di un verde vivido, in lontananza, sperando che fosse una meta per turisti e che vi potesse incontrare qualche anima viva. Giunta nei pressi s’imbatté in un capriolo dalle corna che sembravano rivestite di velluto; il magnifico esemplare la guardava immobile accanto a un sorbo. Per qualche attimo restarono entrambi fermi in silenzio contemplandosi l’un l’altra, poi il capriolo annusò l’aria e lesto fuggì via. Presto Sylvia capì il perché, una coppia di turisti tedeschi avanzava verso l’uscita del bosco parlando e ridendo allegramente. 

Tirando un sospiro di sollievo e sfoggiando ciò che aveva appreso durante gli studi presso la facoltà di lingue, spiegò che si era persa e che voleva tornare al villaggio; i turisti risposero che anche loro stavano facendo ritorno a Heptonsall e che erano felici di accompagnarla. Una volta al villaggio le loro strade si divisero e Sylvia, temendo di aver fatto tardi per la visita al cimitero percorse l’ultimo tratto del tragitto correndo, doveva partire l’indomani e voleva tener fede alla promessa che si era fatta. Arrivata nel New Graveyard, la parte più recente del cimitero in cui era sepolta la poetessa, notò che niente indicava la sua tomba, proseguì come sospinta da un vento di buon auspicio sinché, addentrandosi fra le tombe, trovò la sua, riconoscendola da lontano, come se sapesse che era lì.

La prima cosa che la colpì una volta davanti ad essa, furono i fiori di acetosella tutt’intorno che la circondavano quasi a fare da rosea cornice alla tomba; per coincidenza sapeva che in Inghilterra veniva popolarmente chiamata anche “bella addormentata” o “trifoglio dormiente” per via del suo comportamento durante le ore più calde della giornata o durante la pioggia, quando le sue foglioline e le infiorescenze si apprestavano a richiudersi, ma soprattutto rammentò che quella pianticella per la sua delicata bellezza e per il suo elegante comportamento, veniva associata alla protezione e all’amore materno.

S’inginocchiò e accarezzò la pietra tombale respirando a pieni polmoni, finalmente era nel luogo ideale per lasciarsi il dolore alle spalle e riconciliarsi con il suo animo così affine al cielo inquieto del West Yorkshire, con le sue nuvole basse in continuo movimento che si allargavano, si allontanavano e poi tornavano ricoprendo tutto, grigie e minacciose, per poi svanire o allargarsi sulla brughiera, sulle pianure verdi o sui fiumi.

Di lì a poco il sole basso arrossì il cielo e stormi di volatili in controluce, disegnarono sagome nere, oscurando intere porzioni della volta celeste, Sylvia posò lo sguardo verso l’orizzonte con l’intento di conservare indelebilmente il ricordo delle suggestioni che le stavano entrando nel cuore attraverso gli occhi, poi se ne andò.

All’imbrunire, sodisfatta e appagata dalle esperienze del suo breve pellegrinaggio, ripromettendosi di tornare in quei luoghi quanto prima, volse un ultimo sguardo fuori dalle finestre del cottage dove soggiornava, affacciate sulla brughiera circostante. Ammirò, ancora una volta quel desolato e magnifico alternarsi delle verdi colline al tramonto e le rosate distese di erica in fiore spazzate dal vento, commuovendosi, poi asciugandosi le lacrime compose un numero di telefono:

«Ciao papà…» esordì.

«Sylvia tesoro, ho provato a chiamarti molte volte…»

«Ti avevo avvisato: sapevi che avrei tenuto spento il cellulare»

«Sì, lo so e che non credevo che ce l’avresti fatta…e poi… mi mancavi. Ad ogni modo come stai? È andato tutto bene?»

«Sì, benissimo papà…grazie per aver pagato questa vacanza.»

«Non ringraziarmi, ti meriti questo e altro, anzi ti anticipo che ho delle buone notizie da darti appena torni»

«Buone notizie? Quali? Dammele ora, ormai lo hai detto, non lasciarmi sulle spine!»

«E va bene, tieniti forte: l’avvocato mi ha riferito che potrai avere accesso ai fondi di tua madre. Capisci cosa voglio dire? Potrai riprendere gli studi e…»

«Oh papà! È magnifico!»

«Sì è una notizia fantastica, ti spiegherò nei dettagli domani okay?».

L’indomani la mattina si presentò con un cielo cupo, sferzato da un vento gelido che penetrava nelle ossa accompagnato da pioggia battente, Sylvia si accinse con difficoltà a salire sull’autobus per Leeds, dove avrebbe preso il treno per Manchester, poi all’aeroporto dove l’attendeva un volo prenotato per Milano.

«Ti è caduto questo.»

«Com…? Ah sì grazie… Uff che tempo! Il cielo cambia in continuazione e questo vento è terribile…», ringraziò brontolando Sylvia, rivolgendosi al ragazzo in fila, come lei, in procinto si salire sull’autobus, che le porgeva un sacchetto contenente dei souvenir.

«Basta farci l’abitudine e assecondare i suoi cambiamenti…ma …ma…un momento, tu sei la ragazza senza paura!» rispose lui elargendole un sorriso genuino.

«Oddio…e tu sei il cattivo!» ribatté sorpresa lei mentre prendevano posto a sedere l’uno affianco all’altra.

«Sì, cattivissimo! Perché ridi, non ci credi?»

«Beh…in effetti… potresti esserlo, in fondo non ti conosco»

«Allora mi presento mi chiamo Luca» 

«Piacere, Sylvia…ma…dimmi un po’, com’è che partecipavi alla commedia dell’uovo della pace, sei italiano no? Nel ruolo del cattivo appunto…».

Il ragazzo spiegò di essere nato in Italia e di vivere a Milano, ma che Heptonstall era la terra natia dei suoi avi e tutti i parenti più prossimi abitavano lì. Tornava spesso a trovarli nelle occasioni di festa e negli anni si era conquistato quel ruolo, avvantaggiato della sua mole e dall’attitudine corporea affinata giocando da professionista in una squadra di Rugby.

«Ma questo cielo non ha pace!» esclamò Sylvia sorridendo mentre un raggio di sole irrompendo tra le nuvole la colpiva in pieno viso.

«Basta farci l’abitudine e assecondare i suoi cambiamenti, te l’ho detto» ribatté lui seraficamente.

Sì, proprio così: è questa la verità” pensò lei compiaciuta.

 

 

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